L’emergenza dei disturbi alimentari tra i giovani si sta diffondendo quasi come un’epidemia, con i primi segni che si manifestano già all’età di 7 anni. Questa problematica sta conoscendo un’escalation, particolarmente accentuata dall’impatto post-pandemico. La situazione è preoccupante e il disagio profondo, con patologie che vanno dall’anoressia alla bulimia e che iniziano a manifestarsi in età sempre più precoce, registrando casi di insorgenza già a 6-7 anni nei centri specializzati. Questo tipo di malessere, legato ai disturbi del comportamento alimentare (DCA), ha radici complesse, influenzate da fattori sociali e dall’esperienza personale di chi ne soffre.
L’esplosione di queste patologie, osservata durante la pandemia, non mostra segni di diminuzione significativa, mantenendo un numero di casi elevato e distante dai livelli antecedenti al Covid-19. In occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata alla lotta contro questi disturbi e celebrata il 15 marzo, gli esperti evidenziano una situazione di crisi paragonabile agli effetti prolungati del Covid su lungo termine, sottolineando la crescente necessità di un supporto e di assistenza maggiori a livello locale.
Ma quando ha iniziato questo ancestrale percorso di ricerca del piacere a degenerare in problematica?
L’alimentazione rappresenta un elemento fondamentale della nostra esistenza, non solo per il suo ruolo vitale nell’apporto energetico necessario per la sopravvivenza, ma anche come mezzo di espressione culturale, piacere sensoriale e veicolo di coesione sociale. L’arte culinaria ha il potere unico di stimolare tutti i sensi, offrendoci l’opportunità di esplorare un’infinità di sapori, aromi, colori e texture.
L’era dell’abbondanza ha segnato un punto di svolta nell’evoluzione della nostra società, soprattutto nei paesi industrializzati, dove la facilità di accesso al cibo è notevolmente aumentata. Un rapporto della Federazione Mondiale dell’Obesità prevede che entro il 2035 si verificherà un incremento ancora più marcato dell’obesità infantile, particolarmente nei paesi meno sviluppati dell’Africa e dell’Asia. Questo fenomeno è attribuibile a vari fattori, inclusa la transizione verso diete ricche di alimenti processati, uno stile di vita sempre più inattivo, politiche nazionali inadeguate per regolare il settore alimentare e le relative strategie di marketing, oltre a sistemi sanitari insufficienti nel gestire le problematiche legate all’aumento di peso e nella promozione dell’educazione alla salute. Pertanto, l’obesità, un insieme di patologie associate e un notevole effetto sull’ecosistema sono diventati evidenti. La deforestazione, il consumo eccessivo di acqua e le emissioni di gas a effetto serra causati dall’agricoltura su larga scala rappresentano sfide ambientali di rilievo.
Ma stiamo forse esagerando?
“Assolutamente sì”, afferma Leonardo Mendolicchio, Psichiatra e Psicoterapeuta esperto in Disturbi Alimentari.
Viviamo in una società “cibofobica” e “cibofilica” allo stesso tempo.
Da un lato, è innegabile l’abbondanza di programmi televisivi e trasmissioni dedicati all’arte culinaria, che ci affascinano con piatti prelibati e presentazioni artistiche di pietanze, spesso presentati da rinomati chef e apprezzate da un vasto pubblico. Questi spettacoli culinari non solo ci intrattengono ma celebrano anche la creatività gastronomica, portando il cibo al centro delle nostre conversazioni quotidiane.
Dall’altro lato, assistiamo a una sorta di dualismo culturale, quasi schizofrenico, nel quale si promuove un approccio altamente salutista al cibo. In questa prospettiva, c’è un’enfasi costante sul controllo delle calorie, sulla gestione del peso e sulla ricerca della forma fisica ideale. Questo atteggiamento può spesso generare ansia riguardo all’alimentazione e al corpo, portando molte persone a sentirsi costantemente in bilico tra il desiderio di godere del cibo e l’ansia di mantenerlo sotto controllo.
La relazione tra alimentazione e corpo è profondamente radicata, dato che ciò che consumiamo influisce direttamente sul nostro benessere e sull’immagine che abbiamo di noi stessi. Tale legame può dar luogo a considerazioni e azioni complesse, specialmente in un’epoca dove prevale la ricerca della bellezza ideale e del benessere fisico. L’ideale di un corpo perfetto, spesso amplificato dai media e dai social, propaga modelli di bellezza inarrivabili che fomentano il confronto sociale. In tale scenario, l’alimentazione assume un ruolo duplice: fonte di nutrimento e strumento per assecondare gli standard estetici promossi culturalmente. Questa dinamica tra il nutrimento che assumiamo e la percezione del nostro corpo necessita di una riflessione critica, considerando il suo impatto rilevante sulla salute mentale e fisica degli individui, influenzando le scelte alimentari e favorendo l’emergere di disturbi alimentari.
Dottore la pandemia ha rappresentato un asse importante nell’insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare, soprattutto nei più giovani. Cosa è accaduto?
Purtroppo sì, la pandemia ha inciso enormemente sulla recrudescenza dei disturbi del comportamento alimentare e sull’ossessione tra corpo e cibo e l’ha fatto in una misura importante sui più giovani. E’ innegabile la promozione del tema della perfezione e della performance in questi universi, ma va ricordato che la causa dei disturbi alimentari non è nel voler aspirare a un corpo perfetto, ma le cause risiedono più in profondità e possono dipendere da diversi fattori.
Una recente indagine condotta in Canada rivela che, nel corso della pandemia, si è registrato un “significativo” incremento nei casi di disturbi alimentari tra bambini e adolescenti che necessitano di assistenza ospedaliera. La dottoressa Alene Toulany, esperta in medicina adolescenziale presso l’Hospital for Sick Children (SickKids) di Toronto e coautrice della ricerca, sostiene che la pandemia ha messo in evidenza i disturbi alimentari, agendo come un fattore accelerante.
La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha segnalato una tendenza all’abbassamento dell’età in cui compaiono disturbi legati all’alimentazione. Tra le cause di questa complessa relazione con il cibo, si annoverano l’influenza dei social network, che spingono verso la ricerca di approvazione esterna e un confronto sociale costante. Diventano sempre più diffusi i video che mettono in scena sfide sulle misure del corpo o di “body-checking“, dove gli utenti si registrano allo specchio mostrando i loro cambiamenti fisici dopo diete particolari. Un esempio lampante è l’hashtag #bodychecking, che conta oltre 5,8 milioni di visualizzazioni. Sebbene questi contenuti varino in forma e intento, il loro effetto psicologico è indiscutibile, poiché tendono a ridurre il valore dell’individuo al suo aspetto esteriore, spingendo verso l’adesione a canoni di bellezza irrealistici, spesso veicolati da celebrità, influencer e media, generando una pressione costante. Nonostante ciò, come sottolineato da Chelsea Kronengold della National Eating Disorders Association, è importante precisare che i social media di per sé non sono una causa diretta dei disturbi alimentari, ma possono giocare un ruolo nel loro sviluppo.
Ma dove inizia il contesto, la società e qual è la valenza che riveste la genetica?
Mendolicchio risponde: E’ una domanda importantissima e difficile. Dovremmo dire che anoressia, bulimia e obesità grave hanno quadri molto complessi e di fronte a questa complessità ridurre è complicato. Di fatto ci sono entrambe le componenti. Ci sono malattie genetiche tout court e molti disturbi epigenetici che si nascondono nell’interfaccia tra gene e ambiente. Molti aspetti epigenetici entrano in queste patologie. Modificano il modo in cui le cellule funzionano. Quando parliamo di epigenetica parliamo anche di quello che il mondo trasmette al corpo. In questa società basata su diet culture si crea un substrato su cui il disagio si può trasformare in vero e proprio disturbo.
Nell’ambito dei social media, TikTok si distingue come una piattaforma dove l’autoesposizione si trasforma in un requisito quasi obbligatorio. Una ricerca pubblicata sulla rivista PLOS One ha rivelato che TikTok ha avuto un ruolo significativo nella diffusione di una cultura dietetica potenzialmente dannosa. L’intento degli studiosi era di individuare le principali tematiche legate all’alimentazione, alla nutrizione e al peso nei contenuti pubblicati. Attraverso l’analisi di modelli, sono stati esaminati 1000 video selezionati da 10 hashtag legati a questi argomenti, ognuno con oltre un miliardo di visualizzazioni, prelevando i cento video più popolari per ogni hashtag. L’analisi, condotta da due programmatori, si è concentrata sulle tematiche principali, riscontrando una prevalenza di messaggi incentrati sulla perdita di peso, l’uso del cibo come strumento per ottenere benessere e magrezza, e una carenza di contributi informativi da parte di esperti di nutrizione. La maggior parte dei contenuti promuoveva un concetto di salute strettamente legato al peso corporeo, con meno del 3% dei post che adottava una prospettiva inclusiva riguardo al peso. I video analizzati erano prevalentemente opera di adolescenti e giovani adulti caucasici. Di conseguenza, i messaggi veicolati su TikTok riguardo l’alimentazione tendono a enfatizzare eccessivamente l’importanza del peso, favorendo potenzialmente lo sviluppo di comportamenti alimentari problematici.
Aiutare gli utenti e i giovani a discernere informazioni nutrizionali credibili è diventato indispensabile. Purtroppo ogni giorno assistiamo alla ribalta mediatica di parvenu del web che invocano dimagrimenti e mirabolanti promesse di longevità senza alcuna qualifica medica.
afferma il Professor Giovanni Spera, Presidente della Società italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Sisdca).
La diffusione di informazioni fuorvianti attraverso i social media ha creato un ambiente in cui le informazioni scientifiche possono essere distortamente interpretate o negate, contribuendo così alla diffusione della disinformazione. Questo fenomeno è ormai evidente da diversi anni nel campo della medicina.