Meditazione, attività fisica, mangiare sano e viaggi di relax. Dopo la pandemia sembra che tra i fondamenti della new economy ci sia proprio quello che comunemente viene chiamato “wellness”. Il comparto sembra aver ingranato una marcia importante in Italia con un fatturato globale che nel 2020 ha superato i 4 trilioni di dollari e che si prevede possa raggiungere i 7 trilioni di dollari nel 2025. Un trend positivo che segnala l’aumento della consapevolezza su quelli che sono i benefici di una mens sana e di un corpore sano.
Si parla sempre più di “digital health” facendo riferimento a tutta una serie di tecnologie come la telemedicina, i dispositivi medici connessi, apps per il monitoraggio della salute e per il fitness. Un mercato cresciuto del 59% in soli tre anni.
Il concetto di base attorno a cui si muovono queste considerazione è semplice: starbene conviene, conviene al singolo, ma anche ai Sistemi sanitari pubblici dei paesi. Partendo dal presupposto che l’’aspettativa di vita è aumentata notevolmente negli ultimi 150 anni (Oeppen e Vaupel 2002) Andrew J.Scott, professore di economia alla London business school, Martin Ellison, docente di economia all’università di Oxford, e David A. Sinclair, biologo e professore di genetica ad Harvard, hanno pubblicato su Nature una ricerca per valutare il valore economico dell’invecchiamento.
Nello studio hanno coniato il termine “longevità malata” facendo riferimento ad una sempre maggiore presenza di malattie croniche degenerative e di “longevità sana”, quella che i sistemi sanitari nazionali dovrebbero promuovere attraverso una cultura del benessere che passa necessariamente dall’attività fisica e dall’alimentazione.
Come ricorda il Professor Giovanni Spera:
Ciò che mangiamo incide enormemente sulla nostra salute. È evidente che il modo di reagire alle malattie dell’organismo è legato al funzionamento degli organi e degli apparati, che a sua volta dipende dal carburante, ovvero dal cibo che si introduce. Si tratta di un assioma incontestabile dai tempi di Ippocrate e anche oggi che la medicina ha fatto tanti progressi, resta il fatto che se la benzina è buona è buona ed è fondamentale per far funzionare la macchina. L’alimentazione corretta ha a che fare con la prevenzione primaria, l’alimentazione può essere anche una medicina in sé, un’arma potente per trattare molte malattie che derivano proprio da una cattiva gestione della nutrizione.
Attualmente la principale strategia medica per il trattamento delle malattie non trasmissibili è farmacologica, altresì sarebbe più opportuno agire in modo preventivo sul processo di invecchiamento stesso modificando le condizioni ambientali e comportamentali che condizionano, più della genetica, l’insorgenza di malattie croniche. Diverse evidenze mediche e scientifiche hanno dimostrato, in particolare, che una corretta alimentazione, insieme a uno stile di vita sano, sono fondamentali per contrastare lo sviluppo delle malattie non trasmissibili, consentendo alle persone di condurre una vita più lunga senza malattie.
Un esempio: il diabete tipo 2
Il Diabete è una delle malattie che colpiscono di più gli italiani, circa 4 milioni ne soffrono e 1 milione ne è affetto ma non lo sa. Il Diabete di tipo 2 è spesso sottovalutato, ma è una malattia complessa che purtroppo riduce l’aspettativa di vita del paziente. Attualmente non esistono delle “cure” vere e proprie, perché è una malattia che è causata da una predisposizione genetica e da uno stile di vita troppo sedentario. Iperalimentazione e poca attività fisica conducono necessariamente al diabete di tipo 2.
Secondo il Rapporto Osservasalute 2017 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane nel 2016, 83.238 pazienti risultavano affetti da diabete mellito tipo 2, con una prevalenza di patologia pari all’8,0%. La prevalenza di diabete mellito tipo 2 risulta leggermente in crescita dal 2012 (7,5%) al 2016 (8,0%), con valori sempre maggiori negli uomini rispetto alle donne (8,7% vs 7,3% nel 2016). L’analisi della prevalenza per classi di età mostra un trend crescente al crescere dell’età, con un picco nella classe 80-84 anni (23,6%). Osservando l’analisi per singole regioni, emerge un gradiente geografico della prevalenza di questa patologia, con un aumento progressivo delle stime andando dal Nord verso il Meridione. Le regioni con una prevalenza superiore al dato nazionale sono: Calabria (9,9%), Sicilia (9,6%), Puglia, Abruzzo/Molise e Lazio (8,7%), Campania (8,5%) e Basilicata (8,2%).
I pazienti presenti in HS e affetti da diabete mellito tipo 2 hanno pesato per il 24,7% delle prescrizioni a carico del SSN, per il 18,5% delle richieste di visite specialistiche, per il 18,2% degli accertamenti e per il 20,4% dei contatti con il MMG. L’analisi per singola regione evidenzia come questi assorbimenti siano più rilevanti tra le regioni del Meridione e, in particolare, per Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
Il problema non è solo italiano ma è mondiale. La parola chiave speculare a buona alimentazione è senza dubbio infiammazione.
Dietro numerose patologie c’è proprio uno stato infiammatorio e per spegnere questa condizione il punto di partenza ha sempre a che fare con ciò che mangiamo. Per tanto tempo abbiamo ritenuto il grasso solo ed esclusivamente una faccenda estetica. Così non è. Uno studio pubblicato su Biorvix, in cui è apparso che ciò che accade nel grasso non resta nel grasso, ma va a colpire anche i tessuti vicini. Gli autori senior dello studio, la dott.ssa Tracey McLaughlin e la dott.ssa Catherine Blish della Stanford University School of Medicine, hanno suggerito che il grasso corporeo é un tessuto biologicamente attivo che produce ormoni e proteine del sistema immunitario che agiscono su altre cellule, promuovendo uno stato di fastidiosa infiammazione di basso grado anche quando non c’è infezione. “Più massa grassa, e in particolare più massa grassa viscerale corrispondono ad una peggiore risposta infiammatoria”, dice uno dei relatori, il dott. McLaughlin, riferendosi al grasso addominale che circonda gli organi interni. L’idea che il tessuto adiposo possa fungere da serbatoio per i patogeni non è nuova,è noto che il grasso corporeo ne ospita diversi, tra cui l’HIV e il virus dell’influenza. La dottoressa Blish e i suoi colleghi hanno ipotizzato che il grasso corporeo infetto possa persino contribuire al “Long Covid”, una condizione che porta all’affaticamento che persiste per settimane o mesi.
Negli ultimi 50 anni i nostri consumi alimentari sono mutati. Si consumano sempre di più grassi e zuccheri che assieme alla sedentarietà inducono conseguenze negative sulla salute. Agire su questi fattori vuol dire agire su eventuali malattie future, agire su questi fattori prevede un necessario cambio di passo nel proprio modo di alimentarsi. E’ noto ed evidente che l’approccio nutrizionale è la prima e più salutare scelta, lo strumento potenzialmente più efficace per affrontare patologie determinanti quali il diabete o l’obesità.